Lo YouTuber Emalloru "Come sono diventato velista in un mese" INTERVISTA

2022-10-08 19:16:24 By : Mr. Jack Zhang

Emanuele Malloru, conosciuto come Emalloru, è lo YouTuber che è salito per la prima volta su una barca a vela quest’estate circumnavigando la Sicilia, pubblicando poi un video dove racconta la sua avventura. Vi avevamo parlato di lui, e nei commenti all’articolo e su Facebook si è aperto un acceso dibattito, tra chi ritiene la sua avventura una pericolosa pazzia e chi invece ne ha colto lo spirito più profondo.

Per chi si fosse perso la prima puntata, Emalloru è un videomaker e content creator che da qualche anno produce contenuti e storie sul suo canale YouTube, raccontando avventure sportive ed umane con uno stile moderno e personale. Durante l’estate è rimasto folgorato dal mondo della vela e ha deciso di comprarsi una barca, Pampero, un Soxisix 9,50  del 1981 prodotto dalla Rax Cantieri di Sambuca Val di Pesa, in provincia di Firenze.

Riassumendo alcune delle critiche ad Emalloru “Non c’è umiltà, rispetto e soprattutto troppo protagonismo gratuito” e quelle al Giornale della Vela “Una rivista di marinai per marinai non avrebbe mai esaltato questo esempio fortemente diseducativo”, il sentimento comune si è orientato in maniera decisa. La maggior parte dei velisti che hanno commentato crede che quella di Emalloru sia stata un’idea folle, da sprovveduto, e assolutamente sbagliata. Alcuni hanno ribadito che la vela non è una cosa per tutti, che servono studio, allenamento, anni di preparazione, ore di navigazione, esperienza e costanza.

Ma siamo sicuri che la vela sia davvero questo? Non è forse bellissimo che un trentenne si sia messo in gioco con voglia e intraprendenza per entrare in un mondo nuovo, quello della vela, partendo da zero? Come possiamo sperare di coinvolgere i neofiti scoraggiandoli al primo tentativo, senza capire tutto il bene che un esempio come quello di Emalloru, che parla la lingua dei giovani e utilizza gli stessi canali di comunicazione, può fare alla vela? Noi del Giornale della Vela crediamo che la storia di Emalloru, il trasporto viscerale che l’ha trascinato nella vela la passione che trasmette meritino non solo di essere raccontati, ma anche di essere diffusi il più possibile. Per questo ci siamo fatti raccontare direttamente da lui com’è andata la sua prima esperienza in barca a vela.

Diciamo che Pampero è arrivata quasi all’improvviso, poi solo a posteriori ho ricostruito bene perché l’ho acquistata. In realtà ho ri-scoperto che sotto c’è un sentimento profondo, che di fatto mi accompagna da quando sono bambino. Io vivo da 6 anni a Milano, ma sono per metà sardo e per metà siciliano, e ho vissuto il resto della mia vita tra Sicilia e Sardegna. Ho sempre avuto un rapporto molto forte con il mare, e l’idea di poter andare ovunque con una barca mi ha sempre affascinato. E poi c’è un’altra cosa. Amo tutti i contesti dove la natura è prevalente e ti rendi conto di essere una piccolissima parte dell’insieme, mi fanno sentire veramente vivo. I miei due sport preferiti sono il surf e il paracadutismo, dove sei veramente una foglia che plana nel vuoto. Con la vela ho in un certo senso combinato le due cose, le onde e il vento, l’essere parte del mare e del vento, dell’aria. Pampero l’ho acquistata a Gallipoli all’inizio dell’estate, per circa 10mila euro, poi insieme a Francesco Sena l’ho portata a Marina di Ragusa. Praticamente ho vissuto in barca da luglio fino alla partenza per il giro, che è stata poco dopo Ferragosto. Carteggiare, lucidare, smontare e montare…ho speso un po’ per i lavori, ma mi sono divertito come un matto! Ho cambiato tutte le drizze e le scotte e ho rimesso a nuovo tutta la barca, mi sono fatto da solo anche un circuito artigianale per terzarolare. 

Per il lavoro che faccio, il content creator, ma anche per il mio modo di vivere, facendomi trasportare dal flusso della vita, ho fatto e continuo a fare un sacco di esperienze diverse. Quando inizio una nuova attività mi gaso come un matto, perché so di essere allo 0,0001% ed ho una curva di apprendimento potenzialmente infinita. Invece se sei già al 10-20% possono succedere due cose. O capisci di poter arrivare al 100%, oppure ti demoralizzi un po’ perché comprendi che più di tanto non potresti migliorare. E con la vela è così, fin dal primo momento in cui sono salito su Pampero ho capito che volevo tuffarmi a capofitto in questo mondo con l’adrenalina a mille. Quando sono su una barca a vela sento di essere nel mio, e sento di avere davanti a me un mondo infinito tutto da esplorare. Sono sicuro che il mio percorso è solo all’inizio ma ho già in mente mille progetti legati a Pampero, anzi uno in realtà lo sto già programmando…

Ho deciso di fare l’Atlantico, anche se mi sto sentendo ogni giorno con Giancarlo Pedote che mi dice di lasciar perdere… Ancora devo capire se farlo con la mia barca in solitaria, o con un equipaggio, oppure come componente di equipaggio su un’altra barca. Quello che so è che voglio farlo e quando decido di fare una cosa, poi in qualche modo la faccio. Alla fine siamo tutti formichine che si muovono su una palla di roccia che fluttua nello spazio. Tutti cerchiamo di riempire la nostra vita di emozioni e situazioni, io ora voglio provare la sensazione di fare una traversata oceanica e sono pronto a farmi travolgere da tutto ciò che mi potrà regalare. Quindi la farò!

Io empatizzo totalmente con tutti quelli che hanno commentato l’articolo. Purtroppo per come funziona il mondo di oggi immagino che molti abbiano commentato anche prima di vedere il mio video, o proprio senza averlo visto. Forse qualcuno può pensare che quello che ho fatto e il modo in cui l’ho raccontato possa mettere in cattiva luce il suo sport, il suo mondo, che in questo caso è la vela. Io questa reazione di “gelosia” la posso capire, ma quello che non si vede nel video è tutta la preparazione che c’è stata prima di partire.

Per un mese intero a Marina di Ragusa, tutti i giorni io mi sono dedicato totalmente a Pampero. Oltre a lavorare sulla barca insieme ai ragazzi del pontile, ho fatto diverse uscite con un istruttore e ho iniziato a studiare per la patente nautica. Ho smontato la barca vite per vite, conosco a memoria qualunque presa a mare, qualunque tubo degli impianti. Sono uscito talmente tante volte che dopo un po’ quando rientravo al porto di Marina di Ragusa mi prendevano in giro dal VHF. Quello che voglio chiarire è che non sono salito sulla barca come uno sprovveduto, e anche quando eravamo in navigazione sono sempre stato molto attento. Probabilmente ho fatto e imparato in 30 giorni quello che una persona normale può fare in un anno, perché fortunatamente ho avuto tanto tempo da dedicarci. L’imbarcazione non ha strumentazioni come l’ecoscandaglio o il pilota automatico, ma mi sono attrezzato con Navionics e Aqua Map, avevo sempre le batimetriche a portata di mano e sono sempre stato sopra ai 10 metri. Ogni volta che ci siamo fermati ho fatto un briefing con i ragazzi a bordo per spiegare come ormeggiare e disormeggiare. Ho affrontato tutto quasi in maniera paranoica, coinvolgendo anche gli altri ragazzi a bordo con me. In più prima di partire ho pianificato tutte le soste che avevo in programma di fare, mi sono segnato il numero di VHF di ogni porto e l’eventuale cellulare delle marine. Ecco, c’è solo una cosa di cui mi pento e per cui mi sento in colpa, ma che mi ha fatto imparare tanto.

Avvicinandomi a Trapani avevo Scirocco da poppa, che da previsioni non doveva superare i 15 nodi. A Sciacca, che era una tappa intermedia, una persona del posto mi ha detto “Guarda, il meteo può dirti quello che vuole ma noi conosciamo il nostro mare e ti garantiamo che ci sarà onda e ci saranno più di 15 nodi di vento”. Altri in porto mi hanno rassicurato che anche se fossero stati più di 15, di poppa, non sarebbero stati un grosso problema. E lì ho capito che i locals hanno sempre ragione: ognuno conosce il proprio mare. Non solo, quando sono tornato a Marina di Ragusa e c’erano 15 nodi di vento per me era veramente nulla. Ho capito davvero che oltre al vento bisogna considerare fondali, conformazione della costa e tantissimi altri fattori. Lì ho gestito la cosa con pazienza, cercando di concentrarmi sul timone per non prendere onde di traverso, e quando sono arrivato in porto ho capito che sarei dovuto rimanere a Sciacca. Anche se restare lì voleva dire rimanere fermi una settimana perché sarebbe entrato il Maestrale. Io non volevo che si sballasse la tabella di marcia e siamo andati lo stesso. È stato impegnativo ma non erano di sicuro condizioni proibitive, certo magari con una barca un po’ più solida sarebbe stato meglio.

A parte quel breve tratto, il resto della navigazione è stato tranquillo e bellissimo, sono stati 20-25 giorni speciali. Spesso succedeva che i ragazzi del porto dove arrivavamo ci seguivano via social e quindi ci aspettavano. Una cosa che mi ha veramente colpito è l’accoglienza nei porti, è stata veramente una roba magica. Mi sono divertito di più a stare nei porti che in rada. Certo, cucinarti il tuo piatto di pasta al tramonto alla fonda è altrettanto magico, ma per me che sono un chiacchierone è impareggiabile la sensazione di scoperta e condivisione che vivi in porto. Scambiare due parole con altri velisti, altre barche, persone di nazioni diverse provenienti anche da lontanissimo, e ognuno col suo vissuto e la sua storia…Io vivo di storie e questa cosa mi ha fatto veramente impazzire! Un’altra cosa che ho notato è che durante le navigazioni, con le persone a bordo si crea un legame straordinario, profondissimo e bellissimo. Le persone si aprono in un modo unico, c’è un’alchimia che solo lì si può creare, e questa cosa per me è incredibile.

Eravamo verso la fine del nostro giro, stavamo rientrando verso Marina di Ragusa e ci siamo messi in rada tra Marzamemi e Capopassero durante il pomeriggio, per goderci gli ultimi momenti insieme. Era previsto vento fino all’1-2 di notte, quindi io avevo pianificato di partire intorno alle 2 e arrivare a Marina di Ragusa con le prime luci dell’alba. In realtà, verso sera il vento ha girato e quando tutte le altre barche hanno iniziato a spostarsi, ci siamo spostati anche noi. Ci siamo messi a circa 120 metri dalla costa, con 7-8 metri di fondale, e verso le 11.30 di sera c’era ancora un po’ di vento. Ho chiesto ai ragazzi di resistere ancora un paio d’ore e poi saremmo ripartiti, il vento stava smollando. Ad un certo punto però sento il timone che inizia a sbattere, e io in rada blocco sempre la barra con le scotte del fiocco, quindi la cosa non mi piaceva. Non so se perché ho bloccato in maniera troppo rigida la barra, o per lo stress dovuto alla navigazione, fatto sta che un pezzo del perno del timone si è spaccato. Se fosse accaduto di pomeriggio non sarebbe stato un grosso problema, di notte invece mi ha messo un po’ in difficoltà.

Una volta constatato che la saldatura aveva ceduto e il pezzo non si poteva riparare, quello che ho fatto è stato mettermi in contatto con la Guardia Costiera. Ho chiesto se ci potevano aiutare in qualche modo, o se avevano un numero da chiamare per farci tirare fuori dalla rada. Poi però, il tempo di chiamare la Guardia Costiera e si spezza la catena dell’ancora. Io l’avevo controllata anello per anello prima di partire, non era nuovissima ma non era marcia. Fatto sta che si è rotta. In quel momento ho buttato subito l’ancora di rispetto, ho dato i giubbotti ai ragazzi e ho tirato fuori i fumogeni perché ci stavamo avvicinando abbastanza pericolosamente alla scogliera. Ho contattato nuovamente la Guardia Costiera che ci ha passato al VHF un peschereccio. Gli ho detto che eravamo sotto al Castello Tafuri, che per chi conosce la zona è un luogo iconico, ma non riuscivo a fargli capire dove eravamo. Noi ci siamo fatti vedere in tutti i modi possibili, gli ho chiesto se volevano le coordinate e intanto loro mi parlavano in dialetto siciliano. Ad un certo punto ho dovuto spiegare ai ragazzi a bordo che se la barca si fosse appoggiata e inclinata pericolosamente, ci saremmo dovuti buttare in acqua. Li ho visti sbiancare, ma in realtà io ero tranquillo perché eravamo praticamente a 5 metri dalla scogliera, con due bracciate saremmo stati a terra. Eravamo in quella situazione da circa un’oretta ma poi per fortuna è arrivato il peschereccio e ci ha portato via, un po’ di ansia ma alla fine tutto bene.

Un po’ la barca sbatteva, qualche botta l’ha presa…adesso è in porto a Marina di Ragusa e ogni due giorni c’è un amico che mi controlla le sentine. La barca era stata già sbulbata tre anni fa, ha i prigionieri nuovi, ma la voglio comunque far tirare su dal cantiere e farla controllare. Di sicuro comprerò la catena dell’ancora nuova…e di 50 metri anziché da 30 come quella che avevo. Poi prenderò una catena anche per l’ancora di rispetto, che aveva solo una cima. Poi oltre alle catene, diciamo che prima di fare l’Atlantico qualche lavoretto su Pampero andrà fatto!

Io non mi sento di aver fatto niente di così eccezionale, alla fine ho fatto una navigazione di tre settimane sottocosta, facendo da porto a porto e stando sempre attentissimo ad ogni aspetto. Durante quei giorni a bordo, però, ho provato sensazioni che ho provato solo lì, cioè solo perché stavo vivendo quell’avventura in barca in mezzo al mare. Quello che sento di aver capito, e spero che lo capiscano tante altre persone, è che la vela oltre ad essere un mondo incredibile, è davvero un mondo accessibile. Non è una realtà chiusa e riservata solo a chi ci nasce dentro, se si hanno la curiosità e la voglia di imparare e di mettersi in gioco si possono conoscere persone incredibili e provare emozioni uniche anche partendo da zero, e arrivare un anno dopo a fare l’Atlantico. Come farò io.

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Dopo aver visto il video posso dire che è molto più preparato lui di tanti velisti della domenica….che vanno solo a motore e magari hanno anche da commentare

“Vela per tutti”, ma ce n’è davvero bisogno? Non abbiamo già abbastanza incapaci in mare?

Il mare non è di proprietà. Io credo che ci sia una sola cosa triste del mare: la supponenza delle persone. A volte la si può trovare nei principianti, molto più spesso la si trova nell’arroganza dei velisti da lobby. Sfortunatamente è una cosa più italiana che altro. Come la difesa quasi nazista della terminologia. Se sbagli un termine non sei degno. Come se i termini in italiano fossero legge universale, e poi non sanno una parola d’inglese. E quando navigano fuori dalle acque territoriali l’unica cosa che riescono a fare è comunicare con le proprie cime. Ahimè si sa che è una cosa generazionale, e fortunatamente va via via sparendo.

Per il resto, Emalloru nel suo video ha comunicato qualcosa di ben diverso dall’andare a vela. Ha trasportato le persone stimolandole verso il provare cose nuove, e non farsi intimorire. Per alcuni sarà stato un po’ sprovveduto. Ma i veri sprovveduti in vita sono coloro che non si scardinano da pensieri vecchi.

Sono uno di quelli che ha fatto 10 mila corsi e navigazioni d’altura prima di “osare”. Beh, ho fatto male, da quando esco in solitaria o come capitano ho imparato mille volte di più da quanto ho appresso in corsi spesso inutili o addirittura dannosi. Prima o poi bisogna osare anche prendendosi qualche rischio.

Ai commenti negativi, si potrebbe rispondere che anche un certo Bernard Moitessier si buttò nell’avventura della vela senza la dovuta preparazione, ebbe i suoi naufragi e imparò tanto dai propri errori… cosa si può dire, che non avrebbe dovuto? Quanto ci saremmo persi…

Da quando ascolto quelli bravi ho paura e sbaglio e mi sento castrato. FORSA EMANUELE…anche se con quella barca e’ facile parlare….vola da sola 🙂

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